Articolo realizzato da Annalisa Andreini
Scrittrice e Blogger
La Bertolina è una torta che profuma di tradizione, di gesti tramandati nel tempo, curiose ipotesi e moderne interpretazioni. Un dolce decisamente profumato che da tempo immemorabile, a Crema, fa innamorare diverse generazioni. In dialetto si chiama “Turta Bertulina”.
È una torta tipica dell’autunno (ma negli ultimi anni anche di fine estate) che rappresenta la cucina povera del territorio cremasco e di una parte di quello della bassa bergamasca. È prettamente stagionale, preparata con ciò che era facilmente reperibile nell’orto di casa o in cortile. Da sempre un dolce semplice ma molto amato, preparato da mani esperte, frutto di una consolidata bravura culinaria delle mamme e delle nonne. Ne esistono due modalità di preparazione: una più antica e molto basilare e una rielaborata in tempi più recenti da panettieri o pasticcieri o reinterpretata dalla fantasia. La prima versione è quella che si suole definire “Bertolina di pane”, composta solo di pasta di pane lievitata a cui le massaie univano una profumata uva americana o uva fragola sgranata e ben asciugata, strutto di maiale o burro, sempre presente nelle cascine di campagna, un po’ di farina bianca e una manciata di farina di mais fioretto (la farina della polenta che non mancava mai) e, infine, una spolverata di zucchero. Quest’ultimo poco perché era considerato un bene di lusso e quasi un dono. L’impasto della Bertolina veniva poi riposto in una teglia unta, su cui si versavano in abbondanza i succosi acini talvolta spolverati di zucchero, capace poi di sciogliersi durante la lenta cottura, così da poter attenuare l’asprigno sapore dell’uva. Si ricopriva poi tutto con altra pasta di pane e si completava cospargendola con una manciata di altro zucchero al fine di rendere, a fine cottura, il dolce guarnito di una succulenta crosticina croccante. La tortiera, con il suo prezioso contenuto e ricoperta da un telo, veniva posta a riposare un paio d’ore in un luogo caldo per aumentare la massa lievitante. Una volta terminata la preparazione del dolce, i ragazzi di casa che avevano assistito impazienti a tutte le fasi di realizzazione, si rendevano disponibili a recarsi al forno del paese, che veniva condiviso, o presso il fornaio che avrebbe provveduto ad una adeguata cottura.
La teglia, contenente la gustosa leccornia, veniva avvolta in un ampio e robusto telo legato ai quattro angoli e affidato dalle mamme ai loro figli con le raccomandazioni di rito perché venisse consegnata al forno con tempestività. Così, nei giorni prestabiliti, prima di mezzogiorno, si potevano vedere gruppi di ragazzi recarsi al forno per un modesto compenso. Al forno del paese il dolce veniva messo a dimora dopo la cottura dell’ultima sfornata di pane e veniva trattenuto fino al completo raffreddamento. L’aspettativa era lunga un intero pomeriggio e, solo dopo le sedici ore, la torta veniva riconsegnata a quei ragazzi fortunati che tornavano nelle loro case pronti ad addentare, ancora tiepida, l’attesa e agognata delizia. La cottura aveva quindi la sua parte di rilievo nella buona riuscita del dolce. Il risultato doveva essere una torta intensa di sapore, dalla superficie non uniforme a causa della irregolare disposizione dell’uva, che poteva emergere con il suo prezioso sughetto. Il tutto ricoperto da una leggera crosticina di zucchero, a tratti anche caramellato, intriso del sapore procurato dalla cottura dell’uva. La particolarità di questa torta è caratterizzata proprio dall’essere ricchissima di uva e di sugo d’uva, che spesso strabordava dagli strati di pasta colorandoli con quell’inconfondibile colore marrone-viola dorato. Alcune massaie facevano sobbollire l’uva con lo zucchero e poi versavano sopra la torta questo mosto profumatissimo. Il pasticciere cremasco Franco Cremonesi, della storica pasticceria “Dossena” di Crema raccomanda che la percentuale di uva nell’impasto sia più del doppio della farina.
Questa tradizionale preparazione è stata gradualmente modificata nel tempo in un impasto di “torta dolce” per diversi motivi: sia per aver cambiato la metodologia di preparazione nei tempi più moderni, sia per l’alternativa tipologica di cottura (il forno domestico) sia per i nuovi e più elaborati ingredienti facilmente reperibili. Chi aggiunge l’olio o il burro nell’impasto, chi il latte, chi il succo di limone, chi il Mistrà o altri liquori, chi le uova e così via.
Cambiano anche il numero degli strati (a volte due, a volte tre) e le forme. E cambia anche la reperibilità dell’uva che un tempo era di esclusiva appartenenza o di alcune famiglie della cerchia muraria di Crema o di alcuni orti di campagna. Oggi invece è disponibile in tempi e quantità abbondanti. E, negli ultimi anni, l’uva fragola matura molto prima rispetto al passato e già a metà agosto è disponibile.
La Bertolina ormai sta assumendo sempre di più le caratteristiche di una torta morbida e soffice, lontana dall’origine povera che la presentava come una sorta di focaccia di pane. Qualche pasticciere e ristoratore la propone anche in versione frolla come una crostata ripiena oppure nella moderna versione di graziosi muffin o tortini monoporzioni da servire a fine pasto. Lo chef cremasco Stefano Fagioli propone, per esempio, una Bertolina di sabbiosa con salsa d’uva fragola. Col tempo si sono moltiplicate molte varianti della ricetta originale a seconda della famiglia e del paese di provenienza.
La protagonista assoluta rimane sempre lei, l’uva Clinton, nata da inneschi su vitigni autoctoni, falcidiati dalla distruzione dei vigneti procurati dalla filossera e da una serie di malattie della vite che hanno minacciato la vite europea. Questa antica pianta, giunta in Europa dall’ America all’inizio del ventesimo secolo (intorno al 1820), seppe far riprendere la coltivazione dell’uva nel nostro territorio e in alcuni distretti vinicoli veneti e friulani e ci regala ancora tutte le emozioni legate ai viaggi, ai territori lontani e agli incontri di innesti, in cui la natura sa dimostrare tutta la sua resilienza. Non era invece molto amata per la preparazione del vino, il “Cremaschì”, che in terra cremasca non ha mai riscosso molto successo e anzi veniva denigrato dagli enologi. Era un vino dal colore intenso che macchiava e lasciava una traccia molto intensa nei bicchieri.
Le signore di una volta usavano solo questo tipo di uva per le loro bertoline, un’uva dal sapore fruttato che veniva coltivata dentro le mura di Crema (le cerchie murarie) per evitare i dazi e ancora oggi esiste un quartiere a Crema, il “Pergoletto”, caratterizzato proprio dalle pergole di uva clinton, chiamata “uva cremaschina” in ricordo degli antichi filari.
Questa torta, che si può considerare casalinga nella sua ideazione, ha riscosso così tanto successo nel tempo da diventare l’oggetto di una festa a lei dedicata in piazza Duomo a Crema nel mese di settembre dal 1980. Sulla sua origine circolano diverse storie curiose: alcuni, come racconta una leggenda medievale, collegano il nome della torta a due contadini un po’ rozzi ma astuti (Bertoldo, Bortolo o Bertoldino). Altri invece propendono per la storia di due donne di Trescore Cremasco (un paesino vicino Crema) proprietarie di un panificio che l’avrebbero creata, tra focacce e pan di mistura. Studiosi locali parlano di una “focaccia con farina gialla o bianca con ripieno d’uva e frutta cotta” e voci popolari raccontano come “sòi da pasta e sòi d’öa generosamente combinati con zucchero e olio” fossero capaci di allietare le tavole famigliari.
Per chi non l’ha mai assaggiata questa torta sarà una scoperta curiosa, un concentrato infinito di profumi e gesti lenti.